Casa Icone di stile Come il cinema ha ispirato la moda

Come il cinema ha ispirato la moda

di Giulia Conti

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In Italia, il cinema e la moda non sono mai stati due mondi separati. Fin dagli anni del dopoguerra, si sono intrecciati come fili dello stesso tessuto culturale, influenzandosi reciprocamente, plasmando sogni, desideri e immaginari collettivi. L’uno ha dato all’altro immagini e emozioni; la moda ha vestito il cinema, il cinema ha dato alla moda la sua anima.

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Negli anni Cinquanta, quando Roma divenne la “Hollywood sul Tevere”, l’Italia viveva un periodo di rinascita. Le produzioni americane affluivano negli studi di Cinecittà, e la capitale si trasformava in un palcoscenico di eleganza spontanea. Era l’epoca di La dolce vita di Federico Fellini, dove il vestito non era solo un elemento scenico, ma un simbolo di libertà e desiderio. La celebre scena di Anita Ekberg nella Fontana di Trevi, avvolta in un abito nero senza tempo, divenne una delle immagini più iconiche della storia del cinema e, di riflesso, della moda italiana.

Le sartorie romane — Sorelle Fontana, Fernanda Gattinoni, Emilio Schuberth — iniziarono a vestire le star internazionali. Non si trattava solo di creare abiti, ma di costruire personaggi. Audrey Hepburn in Vacanze romane, con il suo look semplice e raffinato, rese popolare lo stile “italiano” fatto di leggerezza e grazia naturale. Ogni abito diventava una dichiarazione di autenticità, un ponte tra la spontaneità delle strade italiane e il glamour del grande schermo.

Negli anni Sessanta, il rapporto tra cinema e moda divenne ancora più profondo. Mentre l’Italia viveva il boom economico, registi come Antonioni, Visconti e Pasolini raccontavano un paese in trasformazione. In film come Il deserto rosso o La notte, i costumi, spesso firmati da Bice Brichetto o Mila Schön, erano parte integrante della narrazione. Gli abiti non erano solo vestiti, ma espressioni interiori dei personaggi: freddi, geometrici, moderni. L’eleganza si faceva psicologica, quasi esistenziale.

Nel frattempo, le attrici italiane come Monica Vitti, Claudia Cardinale, Gina Lollobrigida e Sophia Loren diventavano muse ispiratrici per gli stilisti. La loro bellezza non era artificiale, ma vera, viva, imperfetta. La moda imparò da loro che la seduzione italiana non si misura in centimetri di tessuto, ma nell’atteggiamento. La donna italiana sullo schermo era forte, passionale, elegante anche senza volerlo essere — un ideale che si rifletté nei tagli morbidi, nei colori caldi, nelle linee che seguivano il corpo senza costringerlo.

Negli anni Settanta e Ottanta, il cinema italiano continuò a influenzare la moda, ma in modo diverso. Le pellicole di Bertolucci, Fellini e Visconti esploravano mondi interiori, sogni e decadenza, e la moda rispose con abiti che raccontavano epoche e stati d’animo. In Il conformista o L’ultimo imperatore, i costumi divennero architetture di memoria, ponti tra il passato e la contemporaneità.

In parallelo, i grandi stilisti italiani cominciarono a utilizzare il linguaggio del cinema per raccontare le proprie collezioni. Giorgio Armani, con il suo gusto per la sobrietà e la precisione formale, trovò nel cinema la sua consacrazione definitiva: i suoi abiti per American Gigolo (1980) vestirono Richard Gere e definirono un nuovo ideale di eleganza maschile — pulita, sensuale, controllata. Da quel momento, Armani e il cinema divennero inseparabili: una relazione di reciproco rispetto tra realtà e rappresentazione.

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